Iraq, 1991: l’autostrada della morte
Il nome ufficiale è Autostrada 80, e da Kuwait City porta fino a Bassora, nel sud dell’Iraq. Dalla notte fra il 26 e il 27 Febbraio del 1991, il nome con cui è conosciuta è decisamente più inquietante: l’Autostrada della Morte.
Quella notte, la prima Guerra del Golfo era in pratica finita, le bombe della coalizione a guida USA e il successivo attacco di terra avevano definitivamente piegato la resistenza delle truppe irachene, che nell’agosto dell’anno precedente avevano invaso il Kuwait per ordine del dittatore Saddam Hussein.
Una lunga colonna di veicoli militari, ma anche di mezzi civili rubati, si stava recando verso Baghdad, a bordo soldati iracheni e miliziani palestinesi, ma anche prigionieri di guerra kuwaitiani, prigionieri politici e rifugiati civili palestinesi. L’ordine era stato chiaro: RITIRATA, fine della guerra, si torna a casa.
Ma da Washington, dove, pare, Bush padre non credeva alla ritirata, considerandola un diversivo giunge un ordine: bombardare la carovana. Scaricare una valanga di fuoco su quegli uomini ormai in rotta e senza alcuna possibilità di costituire un pericolo. E sulla colonna piove allora una massa di fuoco, alla testa del convoglio e in coda ad esso, in modo da bloccare ogni via di fuga. E poi ancora bombe sui veicoli e sugli uomini inoffensivi e impossibilitati a fuggire, finchè di quei mezzi non rimane che un cumulo di macerie, quelle che i giornalisti, nessuno dei quali era presente al momento dell’attacco, vedranno solo successivamente.
Sulle vittime, è tuttora aperta una controversia: secondo i militari USA, si tratterebbe di poche centinaia di soldati, dato che la maggior parte avrebbe abbandonato i veicoli fuggendo a piedi. Secondo altre fonti giornalistiche, ad esempio Robert Fisk dell’Independent, invece, si parlerebbe di migliaia di morti, mentre il fotoreporter Peter Turnley ha pubblicato le foto di fosse comuni.
Resta una pesante ombra sulla condotta degli USA, sulla reale necessità di bombardare dei soldati ormai in palese ritirata: il dubbio che si sia trattato della volontà di infliggere un’ultima umiliazione a un nemico ormai sconfitto.
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