Con questa foto (febbraio 1968 offensiva del Tet) il fotografo Eddie Adams vinse il premio Pulitzer. E’ una foto « indecente » : il Generale di Brigata Nguyen Ngoc Loan, sudista, in maniche di camicia, all’improvviso e con un revolver cal. 38 da sicario mafioso, teatralmente, giustizia un giovane (presunto) Vietcong. Scandalizzo’ tutti gli Stati Uniti, fin’allora – ancora- convinti che il Vietnam fosse una guerra « giusta ».
La guerra, “giusta” o “sbagliata” che sia, è sempre la stessa: impossibile pensare che non faccia vittime fra i civili, che non li costringa alla fuga. È un dato di fatto. È un dato di fatto umano.
La guerra ci mette di fronte a quelli che siamo, ci costringe a misurare la nostra capacità di sopportazione, quella di vittime e quella di spettatori. La guerra ci mette una mano dentro la pancia e comincia a scavare. La guerra fa una paura terrificante, che pure riusciamo a superare, anche come testimoni, testardamente convinti che vada raccontata. Non cambia nulla, se la raccontiamo: andrà avanti comunque.
Eppure, in questo atto di trascurabile resistenza che il racconto incarna, c’è qualcosa che la guerra teme: teme di essere mostrata per quello che è. È un’enorme bugia, una menzogna spropositata che ci chiama, ci chiama, ci chiama. Ci chiama a credere che la carne, quando si rivolta, facendo a pezzi altra carne, che la carne semplicemente affamata di altra carne, di budella, di muscoli scoperti, di ossa bianche che luccicano al sole, di feci e di piscio sparsi sulla strada, finiti sui muri, di occhi che penzolano dai fili dell’elettricità, di pezzi di cranio spappolati sui parabrezza, di gambe a metà che hanno fatto una piroetta e sono cadute diritte, diritte come se fossero ancora intere, ci chiama a credere che non esista ormai più altro al di fuori di lei.
Ma resta comunque nient’altro che un’enorme bugia, anche (soprattutto) nelle immagini.
Di questa foto – esempio emblematico – Eddie Adams ne ebbe rimorso tutta la vita, dichiaro’ : « Il generale uccise il Viet Cong, io uccisi il generale con la mia macchina fotografica ».
Perché la « vittima » il « giovane Vietcong » era il capo Vietcong Van Lem (detto «Bay Loup») comandante di una squadra della morte, che, la mattina stessa per ottenere informazioni dal sudista Ten.Col Tuan, aveva torturato l’intera famiglia di Tuan, poi aveva ammazzato tutti: figli, moglie, compresa la madre ottantenne di Tuan, e gettati in una fossa comune dove in tutto trovarono 39 persone massacrate. Catturato proprio li’, Van Lem si era sprezzantemente vantato del massacro in faccia del Generale Loan, di cui il Col Tuan era un subordinato (sapeva che comunque sarebbe morto).
Eccezionalmente disumano non vi pare ? Invece no. Perché la guerra non ha nulla di disumano. È roba nostra. Ci piace, starci dentro.
Allora raccontarla così, senza trovare scuse, potrà produrre, un giorno, lo stupore della resistenza ? Non la resistenza del « vogliamoci bene » che è un’altra menzogna senza fondo! Ma lo stupore della resistenza finalmente generata nei confronti di qualcosa che ci piace fare, per quanto ci terrifichi, e anzi che sappiamo fare bene. Lo stupore di chi mette gli occhi su un vuoto senza fine che inebria, e decide, però, di fare un passo indietro e voltarsi. E di rendersi conto che è un imprendiscindibile dovere quello di dominare i nostri istinti «umani» ( e non « bestiali » : le bestie non sanno immaginare la guerra).
E che ci sono – ci devono essere – altre soluzioni.
Il generale Nguyen Ngoc Loan riparo’ negli Stati Uniti, tento’ di aprire una pizzeria, dovette chiuderla, fu trattato come un mostro, un criminale, fu molestato e insultato tutta la vita. Perché aveva ucciso…Secondo voi che cosa è che fa un generale in guerra?
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