Guerra in Ucraina: Morire per Kiev?
Analisi di Ettore Maggi per PlusNews dopo un mese di guerra
Quasi un secolo fa il dilemma era: vale la pena morire per Danzica?
In quel momento gli USA erano ancora nel loro periodo isolazionista e Hitler riscuoteva alcune importanti simpatie. Henry Ford fu un grande finanziatore di Hitler (con almeno 50 mila dollari di allora). Fu anche l’unico statunitense ad essere insignito di una delle principali onorificenze del Reich nazista. Il celebre aviatore Charles Lindbergh, che aveva frequentazioni con il collega dell’aria Hermann Goëring, scrisse un libro (The Wave of the future) che membri del governo USA descrissero come ‘la Bibbia del nazismo americano’ e fu portavoce di America First Committee, apertamente sostenitore del programma hitleriano, che aveva 800 mila iscritti nel 1940. Nello stesso anno Jack Kirby (il re del fumetto), dichiaratamente contro il nazismo e il fascismo, come nel dopoguerra contro il comunismo, fu ripetutamente minacciato e aggredito dai simpatizzanti nazisti di New York.
Quanto agli altri Paesi, quelli che già non erano caduti sotto dittature fasciste o legate a Hitler, erano piuttosto restii a intervenire per difendere la Polonia (che non dimentichiamo aveva un regime semi totalitario molto vicino all’ideologia fascista).
L’URSS, dopo averla combattuta per procura in Spagna nella guerra civile, era diventata alleata della Germania nazista con il patto Molotov – Ribbentrop. Il patto di non aggressione, tra le altre cose, prevedeva la spartizione della Polonia e il via libera dei russi all’annessione dei Paesi Baltici e di parte della Finlandia (per la cronaca, mentre i Baltici accettarono l’annessione, i Finlandesi non acconsentirono). I russi invasero la Finlandia pensando di risolvere tutto in una guerra lampo ma i coriacei finnici resistettero per tutta la guerra d’inverno, facendo spremere lacrime e sangue ai russi, che conquistarono la Carelia, ma a un prezzo altissimo. Non vi ricorda qualcosa? Mutatis mutandis, la situazione si ripropone.
Certo, si ripropone in modo molto diverso. Totalmente diverso. Ma il dilemma è lo stesso.
Vale la pena, per ciò che molto approssimativamente viene chiamato Occidente, morire per Kiev? Intendo dire sia rischiare la Terza guerra mondiale (che secondo alcuni analisti è già iniziata, in forma ibrida, addirittura prima dell’invasione dell’Ucraina), sia affrontare una crisi economica, sociale ed energetica senza precedenti.
Certo la percezione del problema è molto diversa non solo tra i membri della Nato ma addirittura tra i membri della UE o almeno dell’Europa geografica.
Un conto è essere in Italia, un altro essere in Polonia, in Finlandia o addirittura in Moldavia, dove hanno una situazione simile a quella dell’Ucraina (non fanno parte né della Nato né della UE e hanno una zona russofona e russifila, la Trasnistria, che non solo ha da molto tempo dichiarato l’indipendenza ma ha anche 10 mila soldati russi sul terreno). E soprattutto la Moldavia è molto più piccola dell’Ucraina, ha un esercito infinitamente più debole e per giunta è a due passi da Odessa.
Da qui una serie di comportamenti diversi. Analizziamoli.
La Polonia, che per evidenti motivi storici non si fida dei russi (sia dell’impero zarista che di quello sovietico ha un pessimo ricordo), è arrivata a cercare di fornire alcuni Mig 29 agli ucraini, azione che Nato e USA hanno impedito.
Boris Johnson, forse per far dimenticare il fatto che oltre la metà dei capitali russi finisce a Londra (non a caso da anni chiamata Londongrad), o forse per lealtà verso gli USA, fa la voce grossa.
L’Ungheria di Orbán (che, come Erdoğan, è abilitato a tenere i piedi in due, se non tre scarpe), è uno dei governi più restii ad applicare sanzioni contro Mosca (come la Turchia).
L’Italia, come spesso accade, è un caso a parte. Nel 2018, in cui aveva al governo uno dei politici che più si sono esposti a favore di Putin (Salvini), era il Paese con l’opinione pubblica più filorusso della UE (un sondaggio dell’epoca dava gli italiani al 43% favorevoli alla Russia, contro 32 dei francesi e il 23 dei tedeschi).
L’attuale governo Draghi invece è schierato nettamente con l’Ucraina, come le parole prive di consistenza politica del ministro degli esteri Di Maio e del segretario del PD Enrico Letta hanno eloquentemente attestato, ed è appoggiato anche del partito di Giorgia Meloni all’opposizione. Ma il parlamento italiano è l’unico in cui il discorso di Zelensky è stato boicottato da ben un terzo dei deputati e senatori (significativamente tutti gli ex M5S, e una consistente parte degli attuali 5 Stelle e Lega, più cani sciolti). Insomma, il legame con la Russia si sente.
E infine la Germania: i politici tedeschi devono farsi perdonare l’atteggiamento ambiguo nei confronti di Putin e il progetto Nord Stream 2, quindi il nuovo governo SPD-Verdi-Liberali è o cerca di apparire unito contro Putin, mentre neanche a dirlo la destra sovranista AFD resta putiniana. Nel caso dei Verdi la posizione è coerente con il passato, meno quella dei liberali e soprattutto dei socialdemocratici (vedi il caso Schroeder).
In ogni caso, nessuno può ancora ragionevolmente prevedere gli sviluppi. Nessuno può ragionevolmente sapere cosa abbia in testa Putin, che dopotutto ha attaccato l’Ucraina senza fare richieste precise (ricordiamo le immagini TV della riunione del Consiglio di Sicurezza russo: quando il capo dell’SVR, l’intelligence esterna, Sergej Narushkin, propone di fare un ultimatum all’Ucraina con delle richieste precise, lo zar Vladimir lo ridicolizza mettendosi a ridere). Probabilmente, per una serie di motivi, Putin ha davvero sottovalutato le forze armate ucraine e creduto in una rapida vittoria.
Al momento, dopo un mese di combattimenti feroci, “l’operazione militare speciale di denazificazione e ripristino della neutralità”, si è rivelata fallimentare per la Russia. I problemi principali probabilmente sono dovuti alle carenze della logistica e della sicurezza delle comunicazioni, oltre che alla scarsa motivazione delle truppe, almeno quelle di leva. Mentre le forze armate ucraine, negli ultimi anni ben armate e addestrate dagli americani, non sono più quelle del 2014, quando i russi occuparono la Crimea senza problemi.
I militari della federazione russa, affiancati dagli “omini verdi” della Wagner, dalle varie milizie (almeno quindici, che già combattevano in Donbass), e dalle truppe cecene e siriane (i primi utili più che altro dal punto di vista psicologico e nell’eventualità di conquista delle città, entrambi, come i mercenari della Wagner, per limitare i morti sensibili per l’opinione pubblica) non sono riusciti a chiudere la tenaglia su Kiev (la 106a divisione autotrasportata si sta ritirando in Bielorussia), né a conquistare Odessa e il resto della costa ovest. Al momento in cui scriviamo, a Mariupol si combatte ancora all’interno, mentre la città sembra quasi completamente distrutta. Anche questo è un sintomo delle difficoltà militari russe. All’inizio i bombardamenti su obbiettivi civili erano pochissimi, ormai sono quasi senza limiti. La Croce Rossa ha dovuto evacuare essa stessa da Mariupol, non avendo avuto garanzie di protezione per i suoi operatori. L’OMS ha dichiarato che i presidi medici colpiti sono al momento oltre 130, di cui almeno 70 deliberatamente, con diverse vittime tra gli operatori sanitari.
I generali russi, che lamentano diversi caduti, sembrano ormai concentrarsi sul solo Donbass, per portare a casa (e a Putin) un risultato spendibile ai veri negoziati, che prima o poi si dovranno fare.
Probabilmente non ha torto Kyryl Budanov (il capo dell’intelligence di Kiev), al netto della ovvia propaganda ucraina, quando afferma che il progetto russo è fare dell’Ucraina una sorta di Corea. Ma tagliata in senso obliquo. Un Sud Est filo-russo contro un Nord Ovest filo-occidentale. Concentrando tutte le energie su quello, la forza militare russa potrebbe bastare.
Ma basterà a Putin? Dopotutto ha già affermato che la Bielorussia dovrebbe avere uno sbocco sul Baltico, ha minacciato la Finlandia, e ieri Sergej Savostyanov, deputato comunista della Duma di Mosca, ha dichiarato che l’operazione militare speciale dovrebbe estendersi a Polonia, Estonia, Lituania, Lettonia e Moldavia. Una provocazione, probabilmente. Ma non dimentichiamo che dalla guerra di Cecenia, all’intervento in Georgia, in Kazakistan, in Siria (e anche in Ucraina, a richiesta delle autoproclamate Repubbliche di Luhansk e Donec’k), Putin è sempre intervento a seguito di proposte e richieste altrui.
E forse l’interrogativo potrebbe essere: Morire (di nuovo) per Danzica? Per Helsinki? Per Vilnius?
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