Alì il chimico e il massacro dei kurdi ad Halabja

ALÌ IL CHIMICO
Sei settimane dopo aver assunto l’incarico Alì Chimico (Alì Hassan Majid, cugino di Saddam Hussein e capo dei servizi segreti irakeni, governatore della regione del Kurdistan e successivamente del Kuwait durante l’invasione irakena) si era già guadagnato il suo soprannome. Il 15 aprile 1987 l’ aviazione irachena bombardò con armi chimiche i quartieri generali del PDK e dell’UPK, il giorno dopo gli aerei elicotteri scaricarono gas tossici su due villaggi a nord di Sulaimaniyah, nel primo dei circa 60 attacchi chimici contro obiettivi civili che si susseguirono per 18 mesi
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Ben presto cominciarono ad accusare dolorosi gonfiori ai testicoli e ai seni. Alcuni si accorsero di urinare sangue. (…) la pelle diventa nera e si copriva di vesciche. Alcuni morirono quasi immediatamente dopo attacchi di convulsioni e risate isteriche. Queste morti rapide e sintomi clinici non furono associati all’Iprite ma al Sarin, un gas nervino messo a punto dalla Germania nazista ma mai utilizzato in battaglia. (…)
Fra il 12 aprile il 20 Giugno 1987 Alì Chimico distrusse oltre 700 villaggi kurdi (…)
La campagna Al Anfal per ripulire il Kurdistan rurale di tutti i suoi abitanti, combattenti e non, fu avviata il 23 febbraio 1988 (…) Entro quella data erano già evidenti alcune caratteristiche generali della campagna: spiegamento massiccio di forze sul terreno e nell’aria, distruzione dei villaggi, impiego di gas e finte amnistie per indurre gli ingenui sopravvissuti ad arrendersi e farli scomparire (…)
L’operazione più devastante non rientrava ufficialmente nella campagna Al Anfal perché il suo bersaglio non erano le campagne del Kurdistan bensì Halabja, una città di 50 mila abitanti pullulante di profughi nelle vicinanze della frontiera iraniana. (…)
Quella mattina (15 marzo 1988) diverse ondate di aerei iracheni colpirono Halabja con napalm e fosforo bianco. Gli abitanti cercarono riparo in grandi e primitivi i rifugi antiaerei. A metà pomeriggio gli aeroplani iracheni tornarono per bombardare la città con le armi chimiche (…)
I soccorritori che volevano seppellire 400 corpi trovati in una cantina abbandonarono i loro sforzi: test, braccia e gambe si staccavano nelle loro mani (…)
Şoreş Resoul ha prudentemente calcolato che ad Halabja sono morti almeno 3800 curdi. Secondo altri le vittime furono almeno 7000. I giornalisti stranieri che arrivarono dopo alcuni giorni dopo con gli elicotteri iraniani documentarono la carneficina. Baghdad negò di aver impiegato armi chimiche ma i documenti irakeni catturati smentiscono queste accuse (in particolare un documento dell’ Intelligence irachena del 11 aprile 1988).
Ricerche successive hanno dimostrato che Halabja fu colpita da un cocktail di Iprite e agenti aggressivi (Sarin, Tabun e VX) che Saddam usava per la prima volta. Dieci anni dopo i sopravvissuti soffrivano di vari difetti genetici, lesioni cutanee, disordini respiratori, percentuali altissime di tumori aggressivi, aborti, deformità congenite, malattie cardiache e polmonari.

da “After such knowledge, what forgiveness?” di Jonathan C. Randal (1997)

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