La Guerra nella Ex-Jugoslavia

La guerra dei dieci giorni.

La guerra dei dieci giorni (in slovenoDesetdnevna vojna, in serbo: Десетодневни рат, Desetodnevni rat), a volte chiamata guerra d’indipendenza slovena (in sloveno: Slovenska osamosvojitvena vojna) o in serbo semplicemente guerra in Slovenia (Рат у Словенији, Rat u Sloveniji), fu un breve conflitto armato tra la Slovenia e la Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia nel 1991 in seguito alla dichiarazione d’indipendenza della Slovenia.

Dopo un periodo di serenità seguito alla morte del presidente jugoslavo Josip Broz Tito nel 1980, le tensioni politiche, etniche, religiose ed economiche all’interno della Jugoslavia, sopite ormai da anni, ritornarono in superficie.

Nel 1989 Slobodan Milošević, presidente del Comitato Centrale della Lega dei Comunisti di Serbia dal 1986, divenne presidente della Serbia, la più grande e più popolata delle sei repubbliche jugoslave. Nell’aprile del 1990 si tennero in Slovenia le prime elezioni democratiche multipartitiche, vinte dalla coalizione DEMOS.

Il 23 dicembre 1990, il popolo sloveno venne chiamato alle urne per un referendum sulla propria indipendenza, che fu approvato con l’88% dei voti. Il governo sloveno (la Jugoslavia era una federazione di più stati con governi parzialmente autonomi) preparò la reazione al governo centrale di Belgrado ostile all’indipendenza e l’Armata Popolare Jugoslava (JNA) annunciò che avrebbe applicato una nuova dottrina di difesa nel paese. La dottrina di Tito della “Difesa popolare generale”, nella quale ogni repubblica manteneva una forza di difesa territoriale (Teritorijalna odbrana o TO), sarebbe stata sostituita da quel momento in poi da un sistema di difesa centralizzato. Le repubbliche avrebbero perso il proprio ruolo nelle questioni di difesa e le proprie forze territoriali sarebbero state disarmate e subordinate ai quartieri generali della JNA a Belgrado.

Il governo sloveno non subì questi tentativi, riuscendo a impedire che la maggior parte dell’equipaggiamento della TO slovena cadesse nelle mani della JNA. Venne dichiarato in un emendamento costituzionale, passato il 28 settembre 1990, che la TO locale sarebbe ricaduta sotto l’esclusivo controllo del governo sloveno. Allo stesso tempo, il governo sloveno allestì una struttura segreta alternativa di comando, nota come “Struttura di manovra per la protezione nazionale” (Manevrska struktura narodne zaščite, o MSNZ). Era un’istituzione già esistente ma antiquata, presente solo in Slovenia, che era destinata a dare la possibilità alla repubblica di formare una struttura di difesa ad hoc, simile a una milizia nazionale. Era di scarsa importanza prima del 1990, con una dotazione antiquata e pochi membri. A ogni modo, il governo DEMOS si rese conto che la MSNZ poteva essere riadattata a costituire un’organizzazione parallela alla TO, interamente sotto controllo sloveno.

Quando la JNA provò a prendere il controllo della TO slovena, la struttura di comando della TO venne semplicemente rimpiazzata con quella della MSNZ. Tra il maggio e l’ottobre del 1990, circa 21.000 militari della TO e poliziotti vennero mobilitati segretamente nella struttura di comando della MSNZ, della cui esistenza il governo federale era completamente all’oscuro. Il governo sloveno inoltre intraprese una pianificazione dettagliata di una campagna militare contro la JNA, che sfociò in piano tattico e operativo per il novembre 1990, già sette mesi prima dello scoppio effettivo del conflitto.

Gli sloveni sapevano benissimo che non sarebbero stati capaci di resistere a lungo contro la JNA. Sotto il ministro della difesa Janez Janša adottarono una strategia basata su un approccio di guerra asimmetrica. Le unità dalla TO avrebbero messo in atto una campagna di guerriglia, utilizzando armi anticarro e missili contraerei per tendere delle imboscate alle unità della JNA. Avrebbero potuto intrappolare le colonne di carri armati distruggendo il primo e l’ultimo veicolo su terreni favorevoli — ad esempio su una stretta via di montagna, dove lo spazio per le manovre sarebbe stato limitato – permettendo di affrontare il resto dei veicoli più facilmente. In preparazione a ciò, il governo sloveno comprò di nascosto sistemi missilistici leggeri da fornitori stranieri, soprattutto i missili contraerei SA-7 Grail (Strela) e il sistema anticarro Armbrust di fabbricazione tedesca. Si dovevano preferire le tattiche di temporeggiamento e di mordi-e-fuggi, poiché negli scontri frontali sarebbe prevalsa la superiorità di fuoco della JNA.

Sul fronte diplomatico né la Comunità Europea né gli Stati Uniti d’America erano ben disposti a riconoscere l’indipendenza della Slovenia e propugnavano la continuazione di una Jugoslavia unita. Il governo sloveno cercò supporto internazionale negoziando una frammentazione pacifica della Jugoslavia, ma venne respinta dai paesi occidentali che preferivano accordarsi con una singola federazione, piuttosto che con numerosi stati indipendenti. A ogni modo, gli sloveni sostenevano che non avevano altra scelta che l’indipendenza, dato che le autorità di Belgrado avevano mostrato una mancanza di valori democratici.

La Slovenia dichiarò inaspettatamente la propria indipendenza il 25 giugno 1991 (aveva annunciato in precedenza che l’avrebbe fatto il 26 giugno). Questo “anticipo” sulla data dell’indipendenza fu un elemento critico dei piani sloveni per guadagnare un vantaggio nel conflitto atteso. Il governo sloveno si aspettava che le forze militari jugoslave avrebbero risposto con forza il giorno della dichiarazione d’indipendenza o poco dopo. Anticipando la data di 24 ore gli sloveni presero di contropiede il governo jugoslavo, che aveva stabilito le prime manovre per il 26 giugno.

Anche se l’esercito jugoslavo si opponeva categoricamente all’indipendenza slovena, era diviso sulla tattica da seguire. Il capo di stato maggiore, il colonnello-generale Blagoje Adžić, sosteneva la necessità di un’operazione militare su larga scala per rimuovere il governo sloveno e mettere al potere delle “forze sane” nella repubblica. Il suo superiore politico, il ministro della difesa Generale dell’esercito Veljko Kadijević insisteva su un approccio più cauto – essenzialmente una dimostrazione di forza che avrebbe convinto il governo sloveno a ritornare sui propri passi. Dopo alcune discussioni Kadijević ebbe la meglio.

Non è chiaro quanti membri civili del governo jugoslavo fossero coinvolti nella decisione di ricorrere alla forza in Slovenia. Ante Marković, il presidente del Consiglio esecutivo federale (l’equivalente del Primo ministro) avrebbe affermato che il governo federale non era stato informato delle azioni dell’esercito

https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_dei_dieci_giorni

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