1917: la rivolta e la decimazione della Brigata Catanzaro

Il 1917 fu, per le truppe italiane impegnate sul campo nella Prima Guerra Mondiale, un vero e proprio annus horribilis, che culminò con la disastrosa rotta di Caporetto e l’invasione del territorio italiano da parte dell’esercito austro-ungarico. In quell’anno, si registrarono diversi casi di ammutinamento e insubordinazione nei reparti al fronte, fra i quali uno dei più celebri fu quello della rivolta della Brigata Catanzaro, che si concluse con la decimazione.

La Brigata Catanzaro, composta dai due reggimenti 141° e 142°, in gran parte soldati calabresi e siciliani , aveva già dato prova di valore nei combattimenti sul Carso nel corso del 1916, subendo diverse perdite ma continuando a scontrarsi con tenacia contro gli austriaci. Nel luglio del 1917, i soldati della brigata si trovavano a riposare presso il paese di Santa Maria La Longa, in Friuli Venezia Giulia: quando iniziò a circolare la notizia che sarebbero presto stati riportati al fronte, scoppiò una violenta rivolta fra i fanti, che sfociò in scontri a fuoco per tutta la notte con l’utilizzo di fucili, mitragliatrici e bombe a mano contro gli ufficiali, 3 dei quali rimasero uccisi insieme a 4 dei carabinieri intervenuti a sedare l’ammutinamento. Viene persino assaltata una villa in cui si era sparsa voce si trovasse il poeta Gabriele D’Annunzio, indicato come uno dei responsabili per le sofferenze della truppa per la sua propaganda irredentista, e, buon per lui, quel giorno assente.

La rivolta terminò al mattino, e subito iniziarono le punizioni sommarie, per le quali si fece ricorso alla terribile pratica della decimazione: dall’elenco dei due reggimenti, vennero selezionati per la fucilazione, insieme ai 4 trovati con le armi ancora in mano, 12 soldati ogni 10, a prescindere dalla loro effettiva partecipazione alla rivolta, per un totale di 28 persone. I soldati vennero fucilati alla schiena nel cimitero di Santa Maria La Longa, da un plotone dietro il quale furono posti diversi Carabinieri, con l’ordine di sparare a chiunque si fosse rifiutato di eseguire la sentenza: la scarica di fucili non uccise tutti sul colpo, alcuni tentarono una fuga disperata venendo falciati dalle mitragliatrici e infine finiti con un colpo alla testa dai Carabinieri. All’esecuzione assistette anche D’Annunzio.

Gli altri sopravvissuti furono inviati immediatamente in prima linea, ma una decina di loro, in segno di protesta gettarono le loro armi e munizioni lungo la strada e vennero ugualmente fucilati. I 132 superstiti furono infine inviati alla Corte Marziale, che condannò a morte altri 4 di loro.

Fra le cause della rivolta, i generali indicarono il malcontento della truppa per un falso, a loro dire, sentimento di disparità di trattamento rispetto ad altri reparti, nonchè la propaganda sovversiva di ispirazione socialista, alimentata dalle notizie provenienti dalla Russia. 

Saranno ancora altri gli ammutinamenti nel Regio Esercito, che dopo la sconfitta di Caporetto verrà affidato al generale Diaz, subentrato a Cadorna, che mitigherà le dure condizioni di vita dei soldati.

Marco Narzisi

Precisazioni : Anzitutto la rivolta non fu un caso determinato dal richiamo in linea della Brigata che era a riposo a S. Maria la Longa, ma “è provato” che la rivolta fosse in preparazione da oltre un mese e mezzo: tale M. D’A., zappatore, condannato alla fucilazione per alcuni gravi episodi di indisciplina avvenuti ai primi di Giugno ’17 per sfuggire alla sentenza rivelò che c’era appunto in preparazione una rivolta organizzata. Successivamente vennero infiltrati tra i complementi che dovevano coprire le perdite alcuni CC.RR. perchè potessero raccogliere informazioni sulla sedizione. I CC.R. dovettero essere poi ritirati senza aver completato del tutto la loro missione perchè uno di essi fu riconosciuto da un compaesano. Venne poi organizzato l’arresto dei principali indiziati che “per caso” coincise con il richiamo in linea della Brigata. La rivolta scoppiò ugualmente sia tra i soldati del 141°che del 142° Rgt; tra rivoltosi e lealisti si ebbero scontri verbali, minacce, zuffe, sparatorie con uso di fucili, bombe a mano e mitragliatrici. Il bilancio degli scontri fu di 11 morti (due ufficiali) e 27 feriti (due ufficiali) – dati che comunque possono variare di qualche unità a seconda delle fonti ma comunque grosso modo esatti – I fucilati furono 28 dei quali 16 del 141° Rgt “arrestati con le armi in mano e le canne ancora scottanti” segno che avevano partecipato agli scontri che avevano causato una quarantina di vittime. Gli altri 12 appartenevano alla 6^ Cp. del II° Btg del 142° Reggimento che si era ammutinata per intero resistendo con le armi. Dei 120 componenti la Compagnia ne vennero sorteggiati 12 e questi sono gli unici e veri “decimati”, mentre gli altri 16 erano stati arrestati “in flagranza di reato”. Seguirono 2 processi, uno ai primi di Agosto con 7 imputati, 4 furono condannati alla fucilazione; ed uno alla fine di Agosto con circa 130 imputati dove si ebbero condanne dai 20 anni sino ai pochi mesi e una quindicina di assoluzioni (andiamo a memoria). Questo, naturalmente, senza nulla togliere al fatto che la Brigata nei mesi/anni precedenti aveva subito delle vere ecatombi e che si era sempre ben comportata. Un reparto valoroso e forse per questo troppo sfruttato fino ad ingenerare il germe della ribellione. Quello che spesso i soldati chiedevano era di essere inviati “anche” su altri fronti rispetto al carnaio del Carso, una specie di redistribuzione tra tutti i reparti dei sacrifici che la guerra imponeva, senza che dovessero gravare sempre sugli stessi.

Si consiglia anche il libro di Marco Pluviano e Irene Guerrini “Fucilate i fanti della Catanzaro.La fine della leggenda sulle decimazioni durante la grande guerra”

Edizioni Gaspari

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