1 agosto 1944: inizia la rivolta di Varsavia

Un’immagine della Rivolta di Varsavia. Henryk Ożarek “Henio” (sinistra) impugna una pistola Vis mentre Tadeusz Przybyszewski “Roma” (destra) spara con una mitragliatrice Błyskawica sul viale Kredytowa-Królewska, 3 ottobre 1944. Foto Wikicommons

Nell’estate del 1944 Varsavia rappresentava l’ultimo ostacolo nella marcia trionfale dell’esercito sovietico da Mosca a Berlino. Quando la Wehrmacht fu costretta a retrocedere oltre il fiume Vistola, il popolo di Varsavia pensò che la liberazione fosse ormai a portata di mano. Lo stesso pensarono i leader Alleati.

Fu allora, a partire dal primo agosto 1944, che la Resistenza polacca, forte di quarantamila ex soldati e partigiani male armati, scese in strada a Varsavia per cacciare gli odiati tedeschi.

La rivolta prese i nazisti di sorpresa e durante i primi giorni di combattimento furono liberati diversi quartieri di Varsavia. Ma i polacchi, privi di artiglieria, carri armati e aviazione, sapevano che non avrebbero potuto fare molto di più. La speranza degli insorti era ora riposta nell’Armata Rossa.

Ma i piani di Stalin erano ben diversi. Il georgiano condannò immediatamente l’insurrezione come un’azione avventata e ordinò all’Armata Rossa di non cooperare in alcun modo.

Gli storici ancora dibattono sui reali motivi di questa decisione. Ad ogni modo, fu così che alla Wehrmacht venne dato il tempo di riorganizzarsi e difendere le aree strategiche, in primis l’aeroporto e i ponti sulla Vistola.

Adolf Hitler, infuriato dall’insolenza degli untermensch polacchi, ordinò la totale distruzione della città e dei suoi abitanti.

“Varsavia deve essere pacificata – sentenziò il Führer – cioè deve essere rasa al suolo”.

Heinrich Himmler, il capo delle SS, specificò che “nessuna pietra deve essere lasciata intatta: ogni edificio deve essere raso al suolo fino alle fondamenta.” 

Di conseguenza, nel quadro della sua politica di genocidio culturale della nazione polacca, Hitler chiese ai suoi architetti di elaborare un piano urbanistico per l’edificazione, al posto di Varsavia, di una cittadina tedesca di media dimensioni.

Per 64 giorni, la Resistenza polacca – donne, uomini, vecchi e bambini – combatté Wehrmacht e SS strada per strada, casa per casa, nelle cantine e nelle fogne. Decine di migliaia di civili inermi vennero macellati settimana dopo settimana. Uno per uno, i distretti della città vennero riconquistati dai tedeschi e ridotti in macerie, mentre le truppe sovietiche dall’altra parte del fiume si limitavano a guardare.

Gli Alleati occidentali della Polonia espressero rammarico, ma conclusero che c’era poco da fare. D’altronde, già a Teheran l’anno precedente si era stabilito che la Polonia sarebbe rientrata nella sfera d’influenza sovietica. 

I tedeschi riuscirono a domare la rivolta solo il 2 ottobre 1944. In due mesi furono uccisi 14.000-16.000 tedeschi (soldati e SS) e 150-200.ooo polacchi (soprattutto civili). Altri 700mila polacchi evacuarono la città o ne furono cacciati dagli occupanti.

Tra l’80% e il 90% degli edifici di Varsavia vennero rasi al suolo mentre l’immenso patrimonio culturale della capitale polacca venne rubato o deliberatamente distrutto o dato alle fiamme. 

La storia della Rivolta di Varsavia del 1944, in gran parte messa da parte nei libri di storia e spesso confusa con l’insurrezione del ghetto del 1943, fu un momento cruciale sia per l’esito della seconda guerra mondiale che per le origini della guerra fredda – e forse anche per la sua fine, se pensiamo che il blocco orientale iniziò a scricchiolare proprio con Solidarnosc nella Polonia degli anni Ottanta.

Il miglior libro sull’argomento rimane Rising ’44 di Norman Davies, uno studio dettagliato che ci riporta a quei giorni in modo vivido e commovente.

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