Perché la sinistra, l’Iran e Hamas temono la fine del conflitto

3 novembre 2025

|

di Adrian Weiss, presidente Associazione Svizzera – Israele

Nel 2020 Donald Trump aveva proposto il suo “Deal of the Century”: uno Stato palestinese sovrano, investimenti per la ricostruzione e garanzie di sicurezza reciproca con Israele. Cinque anni dopo, nel 2025, lo stesso Trump è riuscito dove molti avevano fallito: con il Piano dei 21 punti, firmato a Sharm el-Sheikh, ha posto fine alla guerra tra Israele e Gaza e avviato la ricostruzione della Striscia sotto amministrazione internazionale, sostenuta da Egitto, Arabia Saudita, Emirati e Stati Uniti. Eppure, come già nel 2020, l’Iran, Hamas e gran parte della sinistra ideologica hanno reagito con ostilità, quando non con aperto disprezzo. Il Piano dei 21 punti è il primo tentativo serio di rompere la dipendenza del popolo palestinese dal terrorismo e costruire una base concreta di stabilità. Prevede la smilitarizzazione di Gaza, il rilascio degli ostaggi, la creazione di un governo tecnico palestinese indipendente da Hamas e un vasto piano di investimenti e infrastrutture civili. Non è un piano “di destra” o “americano”, ma un progetto realistico: salvare vite, restituire libertà ai civili e ridare speranza a entrambe le popolazioni. Non è la prima volta che ai palestinesi viene offerta la pace: nel 1947 l’Onu propose due Stati, Israele accettò e gli arabi risposero con la guerra; nel 2000, a Camp David, il premier israeliano Ehud Barak offrì a Yasser Arafat uno Stato palestinese su oltre il 95% dei territori contesi e capitale a Gerusalemme Est, ma Arafat rifiutò; nel 2008 Ehud Olmert ripropose un piano analogo, rifiutato da Mahmoud Abbas; nel 2015 Benjamin Netanyahu accettò l’idea di due Stati, chiedendo solo che quello palestinese fosse smilitarizzato e riconoscesse Israele come Stato ebraico, ma anche questa offerta venne respinta; nel 2020 il piano Trump, che includeva autonomia, sviluppo e sicurezza, venne definito “coloniale”. Cinque occasioni di pace, cinque “no”. Ogni volta la leadership palestinese ha preferito il mito della resistenza alla costruzione di uno Stato.

L’Iran e Hamas hanno bisogno del conflitto per sopravvivere: il primo per estendere la propria influenza nel mondo arabo, il secondo per mantenere il controllo su Gaza. Ma anche una parte della sinistra si è fatta prigioniera della stessa logica, trasformando il conflitto in simbolo morale e riducendo Israele a capro espiatorio dell’Occidente. In nome dei “diritti” si finisce spesso per difendere regimi e movimenti che li negano. Il risultato è paradossale: la pace viene rifiutata non perché ingiusta, ma perché non conforme a una narrativa ideologica che non può sopravvivere senza il conflitto. A questo si aggiunge l’approccio unilaterale di certi giornalisti, che non informano ma orientano l’opinione pubblica con narrazioni e interviste selettive e moralismi a senso unico, andando oltre ogni principio di etica giornalistica. E dietro questo schema si muove una classe politica debole, condizionata e manipolata da una sinistra ideologica che ha smarrito il senso della realtà e il coraggio di difendere la verità anche quando è scomoda. Il Piano dei 21 punti non è perfetto, ma ha dimostrato che quando gli Stati della regione e la comunità internazionale cooperano, la pace è possibile. Chi davvero crede nella democrazia e nella vita deve sostenere ogni processo che offra pace, sicurezza e libertà, indipendentemente da chi lo propone. La sinistra, se vuole tornare credibile, deve ritrovare il coraggio di difendere la pace anche quando non corrisponde ai propri schemi politici, perché la pace non è di destra né di sinistra: è l’unica scelta morale. L’ostilità verso Trump non è solo politica, è simbolica: rappresenta il rifiuto di ammettere che la pace possa nascere da un approccio realistico e non ideologico. Eppure, i fatti restano: solo i suoi piani hanno portato a un cessate il fuoco duraturo e a un consenso arabo senza precedenti. Oggi, chi respinge la pace per motivi ideologici non difende un popolo, ma difende la propria narrazione. La vera divisione non è più tra destra e sinistra, ma tra chi vuole la pace e chi non può permettersi che arrivi.

Potrebbero interessarti anche...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *